William Shakespear

La Tempesta
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ALONZO.

                  La vostra figlia? Oh cielo
    perchè non sono a Napoli ed entrambi
    quivi regina e re? se questo fosse,
    starmi vorrei dentro il fangoso letto
    dove mio figlio giace. Quando avete
    perduto vostra figlia?

                           PROSPERO.

                          L'ho perduta
    nell'ultima tempesta. Io scorgo intanto
    questi degni signori sì colpiti
    da un tale incontro che la ragion loro
    divorano e che i loro occhi ministri
    dubitan siano di verità, nè vero
    alito le parole loro. Ma
    per quanto fuor dei vostri sensi usciti
    siate certi ch'io son Prospero, il Duca
    legittimo, scacciato da Milano
    il quale molto stranamente in questa
    spiaggia ove naufragaste, prese terra
    e il signor ne divenne. Ma di tali
    cose non più, però che questa è storia
    di lunghi giorni e non lieve racconto
    da farsi a mensa e quale si convenga
    a questo primo incontro. O Sire, siate
    il benvenuto. La mia corte è questa
    grotta. Ho là qualche servo, nè di fuori
    suddito alcuno. Ve ne prego, date
    uno sguardo là dentro. Poi che il mio
    ducato mi rendeste, compensarvi
    io cercherò con egual cosa o al meno
    tal miracol mostrarvi che vi faccia
    lieto così come lo son del mio
    ducato.

                                     Si apre la grotta e lascia
                                     vedere Ferdinando e Miranda
                                     che giocano a scacchi.

                            MIRANDA.

           O mio dolce signor, giuocate
    ingannandomi.

                          FERDINANDO.

                 No, mio caro amore:
    non lo farei pe'l mondo intero.

                            MIRANDA.

                                   Sì:
    ma venti regni mi disputereste
    ch'io pur direi che il vostro giuoco è buono.

                            ALONZO.

    Se un'altra visione è questa della
    Isola, ben due volte un caro figlio
    ho perduto!

                          SEBASTIANO.

               Un miracolo supremo!

                          FERDINANDO.

    Quantunque il mare ci minacci è pure
    pietoso ed in van l'ho maledetto!

                              S'inginocchia d'innanzi ad Alonzo.

                            ALONZO.

    Le benedizion tutte d'un padre
    felice, ora ti faccian grande. Sorgi
    in piedi e dimmi come qui venisti.

                            MIRANDA.

    O meraviglia! Quali creature
    mirabili! e come è bello l'umano
    genere! Oh dolce nuovo mondo, pieno
    di un tal popolo!

                           PROSPERO.

                     È nuovo a te!

                            ALONZO.

                                  Chi è dunque
    questa fanciulla con la quale stavi
    giuocando? Non può essere più antica
    di ben tre ore l'amicizia vostra.
    Forse è la Dea che ci ha salvati e tutti
    ci ha radunati qui?

                          FERDINANDO.

                       Sire, è mortale
    ma è mia per immortale provvidenza.
    Io la scelsi allorchè più non potevo
    chieder consiglio al padre mio, nè pure
    credea di averne ancora uno. Ella è figlia
    di quel ben noto duca di Milano
    di cui sì spesso ho udito, senza pure
    averlo visto prima. È da costui
    che ho ricevuto una seconda vita
    ed un secondo padre or mi procura
    questa signora.

                            ALONZO.

                   E sarà il suo! Ma come
    sembrerà strano che il perdono invochi
    da mio figlio!

                           PROSPERO.

                  Ora basta, Sire. È vano
    aggravare il ricordo con un peso
    già dileguato.

                            GONZALO.

                  Dentro me piangevo,
    se no parlato avrei di già. Volgete
    in giù li sguardi, o Dei! Su questa coppia
    una corona benedetta fate
    cadere dopo che la via tracciaste
    che ci ha condotti qui!

                            ALONZO.

                           Dico, o Gonzalo,
    Amen!

                            GONZALO.

         Così Milano fu cacciato
    da Milano perchè la discendenza
    sua regnasse su Napoli! Una gioia
    non comune vi allieti e questo in oro
    sopra salde colonne trascrivete:
    "Trovato ha Claribella, in un viaggio,
    a Tunisi il marito e suo fratello
    Ferdinando una moglie là dove egli
    si era perduto; Prospero, il ducato
    in una povera isola e noi tutti
    ritrovammo noi stessi, quando ognuno
    di sè non era più padrone".

                            ALONZO.

                               Datemi
    le vostre mani. Ogni tristezza ed ogni
    dolore il cuor per sempre arda di quegli
    che non v'auguri bene.

    GONZALO.

                          E così sia
    Amen!


                                 Rientra ARIELE col PADRONE
                                 della nave seguito dal NOSTROMO
                                 e ambedue pieni di stupore.

         O guarda, Sire, o guarda, Sire,
    ecco ancor due dei nostri. Avea pur detto
    che se c'era potere in terra, questi
    non sarebbe affogato! Ora, o Bestemmia,
    che lanciavi da bordo tutte quante
    le tue imprecazioni, non ne hai dunque
    più sulla spiaggia? E non hai più la bocca
    a terra? E cosa c'è di nuovo?

                          IL NOSTROMO.

                                 Prima,
    e assai meglio di tutto, c'è che abbiamo
    trovato il nostro re salvo coi suoi.
    Poi che la vostra nave--quella stessa
    che or fa tre ore credevam perduta--
    è salda e forte e sopra i flutti ondeggia
    come quando nel mar la prima volta
    noi la varammo.

                             ARIELE

                                                     a Prospero.

                   Tutto questo, o mio
    signore, ho fatto da che son partito.

                            PROSPERO

                                                      ad Ariele.

    Spirito industre!

                            ALONZO.

                     Questi avvenimenti
    non sono naturali e d'ora in ora
    divengono più strani. Dite come
    veniste qui?

                       IL QUARTIERMASTRO.

                Sire, se mai credessi
    di essere sveglio, cercherei di dirlo.
    Morti eravam di sonno e tutti quanti
    distesi sotto i boccaporti, senza
    pur saper come, quando con rumori
    strani e diversi, come grida e rugghi
    e batter di catene ed urla ed altri
    varî frastuoni fummo risvegliati
    e per di più liberi tutti e il nostro,
    bravo, forte e regal vascello abbiamo
    in ordine trovato ed il padrone
    che saltava di gioia nel vederlo.
    In un battibaleno e, non vi spiaccia,
    sempre sognando forse, siamo stati
    di là tratti e condotti qui che ancora
    ci fregavamo gli occhi.

                             ARIELE

                                                     a Prospero.

                           Ho fatto bene?

                            PROSPERO

                                                      ad Ariele.

    Bene, o mio diligente, e tu sarai
    libero!

                            ALONZO.

           Ecco il più strano labirinto
    che un uomo abbia percorso. In tutto questo
    v'è più grande potere che non abbia
    la natura. Bisogna che la nostra
    scienza un qualche oracolo corregga.

                           PROSPERO.

    O Sire e mio Sovrano, il tuo pensiero
    non faticare sopra la stranezza
    di questi fatti. Quando avremo il tempo
    e fra breve sarà--saprò spiegarti
    in secreto ogni cosa ed ogni cosa
    ti sembrerà probabile. Ma in tanto
    siate felici e di ciascun evento
    pensate bene.

                                                      Ad Ariele.

                 O spirito, vien qua.
    Libera Calibano e i suoi compagni
    e disciogli l'incanto.

                                                    Exit Ariele.

                          O grazioso
    mio Sire, come va? Vi sono alcuni
    vostri vecchi compagni che perdeste
    e che non ricordate.


                                   Rientra ARIELE, trascinandosi
                                   dietro STEFANO, TRINCULO e
                                   CALIBANO con le vesti rubate.

                            STEFANO.

Che ognuno fatichi per tutti gli altri e che
nessuno si preoccupi di sè stesso perchè qua
giù non c'è che il caso.

    _Coraggio_, bravo mostro, _coraggio!_

                           TRINCULO.

Se quelle che porto in testa sono buone spie,
ecco un meraviglioso spettacolo!

                           CALIBANO.

                          O Setebos!
    Questi son bravi spiriti davvero
    e come è bello il mio padrone! Io temo
    ch'egli non mi castighi!

                          SEBASTIANO.

                           Ah, ah, che cose
    sono mai queste, o mio messer Antonio,
    e si potean comprare?

                            ANTONIO.

                         Certamente:
    uno è un semplice pesce e senza dubbio
    commerciabile.

                           PROSPERO.

                  I lor cenci guardate,
    o miei signori, e poi dite se sono
    onesti! Quel deforme farabutto
    è figlio di una strega che fu tanto
    forte, da controllar la luna e il flusso
    ed il riflusso regolare e senza
    il suo poter la sfera comandarne.
    Tutti e tre mi hanno derubato e questo
    mezzo demonio--perchè è pur bastardo--
    per togliermi la vita ha congiurato
    con loro. Due di questi voi dovete
    riconoscere come vostri ed io
    questa cosa di tenebre per mia
    riconosco.

                           CALIBANO.

              Sarò pinzato a morte!

                            ALONZO.

    Ma non è questo, Stefano il mio servo
    ubriacone?

                          SEBASTIANO.

    È ubriaco anche adesso. Ma dove ha
    trovato il vino?

                            ALONZO.

                    E Trinculo che in piedi
    non può reggersi più? Dove han trovato
    il gran Liquor che gli ha dorati in questo
    modo? E come ti sei messo in tal salsa?

                           TRINCULO.

Mi son messo in questa salsa dall'ultima volta
che vi ho veduto, e ho paura che non m'esca
più dalle ossa. Non avrò più timore delle punture
delle mosche.

                          SEBASTIANO.

E bene, Stefano, cosa c'è?

                            STEFANO.

Oh non mi toccate! io non sono più Stefano,
son un crampo.

                           PROSPERO.

Volevate essere re dell'isola, eh? birbante!

                            STEFANO.

Vi assicuro che in questo caso sarei stato
un re pieno di benevolenza.

                            ALONZO.

                                             indicando Calibano.

    La più bizzarra cosa che ho mai visto!

                           PROSPERO.

    Egli è nella figura e nei suoi modi
    egualmente deforme. Va', messere,
    nella mia grotta e reca teco i tuoi
    compagni. Per avere il mio perdono
    ordinatela a modo.

                           CALIBANO.

                      Certamente
    che lo farò, voglio esser d'ora innanzi
    sottomesso ed avere il tuo perdono.
    Ah tre volte imbecille fui, prendendo
    per Dio questo ubriaco ed adorando
    quest'altro pazzo ignobile!

                           PROSPERO.

                               Va' via!

                            ALONZO.

Via di qui! E rimettete quelli oggetti dove
gli avete trovati.

                          SEBASTIANO.

O meglio rubati.

                                             Exeunt Calibano,
                                             Trinculo e Stefano.

                           PROSPERO.

    Sire, invito l'altezza vostra e tutta
    la corte nella mia povera cella
    dove potrete riposarvi questa
    notte. Ma in parte impiegheremo il tempo
    in discorsi cotali che veloce
    ve lo farà trascorrere: la storia
    della mia vita e di quel che mi accadde
    fino dal primo giorno in cui son giunto
    in quest'isola. E all'alba al vostro legno
    vi condurrò che a Napoli vi porti,
    dove spero veder solennizzato
    il rito nuzial di questi due
    amanti e quindi nella mia Milano
    ritornerò, dove su tre pensieri
    uno alla tomba mia sarà rivolto.

                            ALONZO.

    La storia della vostra vita ho fretta
    di udire: certo deve stranamente
    prender l'udito.

                           PROSPERO.

                    Liberi vi rendo
    tutti! Ed a voi prometto calmi venti,
    onde propizie ed un viaggio tanto
    celere che possiate giunger presto
    la regal flotta.

                                                      Ad Ariele.

                    O mio Ariele, avanti!
    questo è incarico tuo: poi fa ritorno
    agli elementi e sii libero. Addio!
    Ed or di grazia fatevi da presso.

                                                         Exeunt.

                            EPILOGO

                       detto da Prospero.

        Qui ho deposto ogni magia
        e quel che ho di forza è mia:
        non è molto e sta in potere
        vostro farmi rimanere
        o mandarmi per incanto
        verso Napoli. Soltanto
        poi che il mio vecchio ducato
        io mi son riconquistato
        ed ho reso il mio favore
        all'indegno traditore,
        via da questi regni vani
        col favor di vostre mani
        mi traete e col fedele
        vostro soffio le mie vele
        sì gonfiate che altrimenti
        sono i miei divisamenti
        --ch'eran solo a voi piacere--
        tutti quanti per cadere.
        Ora ho d'uopo al tempo stesso
        d'arte e genii e vi confesso
        che la mia sorte è assai nera
        se non fosse la preghiera
        che a traverso ogni aspro assalto
        sa raggiungere nell'alto
        la divina grazia e rende
        puri di tutte le mende.
        Dunque come voi volete
        il perdono, concedete
        l'indulgenza che dovrà
        rimandarmi in libertà.


                             FINE.




                             NOTE.




                      NOTE DEL TRADUTTORE

                              ALLA

                    TEMPESTA, DI SHAKESPEARE


ATTO PRIMO.


SCENA II.--A pag. 26. _Calibano_. Con questo personaggio, l'autore ha
voluto senza dubbio personificare uno di quelli indigeni--di razza
rossa--che nei viaggi a cui si accenna nella prefazione assumevano
tanti e tanto fantastici aspetti. Il Farmer osserva poi come _Caliban_
sia metatesi di _Canibal_ e l'osservazione è tanto più giusta in
quanto gli anagrammi e i giuochi di parole erano di moda in
quell'epoca.


A pag. 34. _A ben cinque braccia nel mare...._ Questa canzone e
l'altra del quarto atto: _là dove sugge l'ape_, ecc.... furono
musicate da Robert Johnson e pubblicate a Oxford nel 1660 dal Dr.
Wilson, in una raccolta intitolata _Court Ayres or Ballads_.


A pag. 38. _Sei tu vergine o no_, ecc. Questa esclamazione di
Ferdinando si è prestata a molti comenti dovuti anche alle diverse
interpretazioni del testo. Secondo la maggior parte delle edizioni
inglesi il testo direbbe:

                   _O you wonder!
    If you be made or no!_

a cui Miranda risponde:

                   _No wonder, sir;
    But certaily a maid._

giuocando sul doppio significato di made-creatura, cosa creata, e
maid-vergine come aveva frainteso la figlia di Prospero. Ma secondo il
Malone, questo gioco di parole non doveva esistere nel testo originale
tanto più che le prime copie leggono _if you be maid or no_. Del
resto, l'interpretazione che ha suscitato grandi dispute fra i
comentatori ha valore relativo e secondo noi è bene concludere con le
parole del Mason il quale osserva giustamente che tutta la questione
si riduce a sapere se i lettori vorranno adottare un'espressione
semplice e naturale che non ha bisogno di comenti o meglio un'altra
che l'ingenuità di molti comentatori ha interpretato imperfettamente.


ATTO SECONDO.


SCENA PRIMA.--A pag. 49. _Temperanza era infatti una delicata
donzella...._ I puritani dell'epoca di Guglielmo Shakespeare usavano
di battezzare le loro figlie con nomi di virtù morali e religiose.
Così il Taylor nella descrizione di una meretrice, ha questi due
versi:

    _Though bad they be, they will not bate an ace
    To be call'd Prudence, Temperance, Faith and Grace._


A pag. 52. _Vedova Didone, avete detto_, ecc....

Il Malone suggerisce che questa insistenza sul nome di _Dido_ in
assonanza con la parola _Widow_--vedova--possa essere stata dettata
dal ricordo di una iscrizione copiata da Anserio e riportata tradotta
nei poemi di Davison:

                  _O nost unhappy Dido
    unhappy wife and mor unhappy widow!_

Ma forse più giustamente altri comentatori rammentano una ballata
_Queen Dido_ popolarissima ai tempi di Shakespeare e cantata in tutte
le taverne e in tutte le strade di Londra.


A pag. 57.

        _S'io mi fossi
    il Re cosa farei?_

Tutto questo passaggio, nel quale taluno potrebbe vedere un'acuta
satira del socialismo, fu ispirato dagli _Essais_ di Montaigne che
erano stati tradotti dal Florio e pubblicati in Inghilterra nel 1603.
Si può dire che l'intiero brano non sia che una traduzione del
capitolo in cui si parla della Francia Antartica, allora recentemente
scoperta.

Il lettore potrà confrontare gli Essais al capitolo XXX del libro I:
_Des Cannibales_.


SCENA II.--A pag. 74. _Trinculo_. Il nome di Trinculo deve essere
stato suggerito a Guglielmo Shakespeare da qualche canzone di marinaio
napoletano. Benedetto Croce mi faceva osservare, infatti, un vecchio
ritornello dialettale che suonava così:

    _Tríncule, míncule
    spilli e spillone...._

A pag. 75. _Non darebbe un centesimo per soccorrere un povero storpio,
ma ne sborserebbe dieci per vedere un indiano morto._

Verso la fine del secolo XVI era tornato dal Catay dove aveva compiuto
un avventuroso viaggio il Frobisher, e aveva portato con sè alcuni
indigeni di quel regno lontano, i quali destavano una grande curiosità
fra gli abitanti di Londra: ma per un raffreddore preso sulla nave che
li conduceva in Europa morirono quasi subito appena furono sbarcati in
Inghilterra. La relazione di quel viaggio e la descrizione di quelli
indiani con relativa storia della loro morte fu pubblicata in un
volume in-4° dal Frobisher, nel 1578.


ATTO TERZO.


SCENA II.--A pag. 95. _Sarebbe davvero un bel mostro se avesse gli
occhi nella coda...._

È un'allusione a una pubblicazione fatta ai tempi di Shakespeare a
proposito di una balena trovata morta sulla spiaggia di Ramsgate. In
questa pubblicazione era detto fra l'altro «si tratta dunque di un
pesce mostruoso, ma non così mostruoso come è stato detto, perchè ha
gli occhi nella testa e non sul di dietro». Vedi _Summary_, 1575.


A pag. 101

                        _... rammenta
    d'impossessarti dei suoi libri...._

Il Malone osserva che questo episodio è una probabile rimembranza
dell'incanto che Angelica fece sull'incantatore Malagigi, con l'aiuto
di Argalia. L'_Orlando furioso_ era stato pubblicato in Inghilterra
nella traduzione del Harrington l'anno 1591.


A pag. 104. _È l'aria della nostra canzone suonata dal ritratto di
Nessuno._

Allusione a una commedia anonima pubblicata in quei giorni: _at the
signe of No-Body_.


SCENA III.--A pag. 109,

    _Che in Arabia vi è un albero per Trono
    della Fenice...._

La favola della Fenice è raccontata da Plinio, dove Guglielmo
Shakespeare deve averla letta nella traduzione dell'Holland,
pubblicata appunto verso quell'epoca.


A pag. 111.

    _Che ci fosser montanari,
    con un grugno di toro,_ ecc,...

Questi _montanari_ sono i gozzuti della Val d'Aosta di cui si aveva
avuto in Inghilterra notizia fino dal 1503 in un volume di Wincken de
Wynck intitolato: _Maundeville's Travels_.


A pag. 111.

    _... Miracoli che pure
    potrebbe garantirci oggi un qualunque
    viaggiatore assicurato al cinque
    per uno...._

Era costume, all'epoca di Shakespeare, che ciascun viaggiatore il
quale partisse per una lunga spedizione, assicurasse la propria vita,
depositando una data somma di denaro che gli veniva restituita
aumentata da forti interessi quando fosse di ritorno.


ATTO QUARTO.--UNA RAPPRESENTAZIONE.


A pag. 121.

    _Le rive che l'aprile umido, al tuo comando
    di gigli e di peonie fiorisce...._ ecc.

Gigli e peonie erano simboli della castità. Così il Lyte nel suo
_Herbal_ ci fa sapere che «un genere di peonie è da qualcuno chiamato
_maiden or virgin peonie_». Se poi si vuol osservare che i gigli e le
peonie non crescono contemporaneamente, si risponderà che di queste
inesattezze botaniche molte se ne trovano nell'opera di Guglielmo
Shakespeare, come i «garofani che Aprile apporta» nella canzone del
_Measure for Measure_, i «gigli d'ogni qualità» che descrive nel
_Winter's tale_ come figli della primavera, contemporanei alle
giunchiglie, alle primole e alle violette, ed altre fantasie poetiche
del genere. Si aggiunga che alcuni comentatori antichi invece di
_lilied brims_ leggono _twilled brims_, cioè _margini ricamati o
trapuntati di peonie_.


A pag. 126.

        _Non altrimenti gli edifici
    senza base di questa visione...._

Tutto l'intiero brano, che è proverbiale nella letteratura inglese,
non sarebbe originale secondo lo Steevens, il quale lo fa derivare da
una scena della _Tragedy of Darius_ di Lord Sterline, tragedia che
sarebbe stata pubblicata l'anno della morte della Regina Elisabetta
(1603).


A pag. 130.

_.... si è condotto con noi come un Fuoco fatuo._

L'originale ha _has played the Jack with us_. «Jack of lantern» è il
nome popolare del fuoco fatuo che secondo la tradizione faceva deviare
i viaggiatori dalla via retta per precipitarli nei pantani su cui
ondeggiava.

A pag. 134.

            _.... sarem tutti
    guanti cambiati in paperi...._

Il testo ha barnacles che secondo lo Skinner sarebbe l'_Anser
Scoticus_. Voleva la tradizione d'allora quest'anitra nascesse da un
albero i cui frutti giunti a maturità si aprivano lasciando cadere
l'anitroccolo sull'acqua. Il Collins ci fa sapere che «Esistono in
alcune parti della Scozia settentrionale certi alberi su cui crescono
frutti a forma di conchiglia i quali cadendo sull'acqua si trasformano
in anatre e sono chiamate _barnacles_». L'errore, del resto, era
accettato dai più celebri naturalisti del tempo, così che non solo si
trova riprodotto nella _Cosmografia_ di Sebastiano Münster, ma anche
il nostro dottissimo Aldrovandi lo accoglie nella sua ornitologia,
dando per fino il disegno dell'albero portentoso!


A pag. 135. _Si ode il rumore di una caccia._

Era credenza comune che una muta di cani spettrali seguita da uno
sconosciuto cacciatore, scorrazzasse la terra seguendo qualche dannato
peccatore. Così ritroviamo la caccia selvaggia nel canto XIII
dell'_Inferno_ dantesco e nella novella di Nastagio degli Onesti del
Decamerone. Così venne accettata dagli scrittori di magìa come si può
vedere del _Treatise of spectres_ di Pietro de Loier, tradotto dal
francese e pubblicato in Inghilterra nel 1605.



ATTO QUINTO.


A pag. 139. _O voi elfi dei colli...._

Il Warburton fa notare che questa invocazione si trova
nell'invocazione ovidiana di _Medea_.

    _Auraeque et venti, montesque, amnesque, lacusque
    Diique omnes nemorum diisque omnes noctis adeste._

Egli l'aveva letta nella traduzione del Goldnig e il Malone osserva
che in alcuni punti ha trascritto letteralmente l'espressione del
traduttore inglese.


A pag. 145. _Ancor gustate qualche leccornia_, ecc.

Il testo ha:

    _do you yet taste
    sone subtilties._

Il vocabolo _subtiltie_, annota lo Steevens, è parola che si trova
nell'antica arte culinaria e significa uno di quei piatti che
raffiguravano cose diverse dalla loro sostanza, come castelli, alberi,
dragoni, ecc., fatti di pasta e di zucchero.


A pag. 155.--_Coraggio, bravo mostro, coraggio!_ La parola Coraggio è
in italiano nell'originale.


A pag. 157.--_Il gran Liquor che gli ha dorati_, ecc. Il Warburton
crede che lo Shakespeare avesse scritto _Il grande Elisir_, perchè è
evidente dalle parole che seguono--_che gli ha dorati tutti_--che egli
allude all'_Aurum potabile_ di cui in quei tempi era gran parlare.



EPILOGO.


A pag. 161. _.... la mia sorte è assai nera...._

Allude alla fine disperata dei negromanti, tratti nell'inferno dagli
spiriti maligni e salvi solo dalla preghiera dovuta a un sincero
pentimento.





              PREZZO DEL PRESENTE VOLUME: Due Lire.


                             TEATRO

                               DI

                     GUGLIELMO SHAKESPEARE


                NUOVA TRADUZIONE DI DIEGO ANGELI



    _A questo 1.° volume __La Tempesta__ succederanno
    immediatamente le seguenti opere di cui la traduzione
    è già compita:_

        Giulio Cesare.

        Coriolano.

        Come vi piace.

        Il sogno di una notte di mezza estate.

        Macbeth.




Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori in Milano.
                
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